Panorama della penisola coreana dopo l’occupazione giapponese
Lo scenario politico-sociale della penisola coreana dopo la dominazione giapponese era caratterizzato da controversie e complicazioni. Innanzitutto, occorreva gestire il momento di transizione dal colonialismo alla riorganizzazione di un paese libero e democratico.
Era questa l’intenzione dei due leader Roosevelt e Stalin che, tramite un accordo, decisero di instaurare un’amministrazione fiduciaria per mantenere il controllo della situazione politica in Corea.
Situata in una posizione geograficamente strategica, nell’isola di 제주 • Jeju, durante il periodo di colonizzazione i giapponesi avevano installato una base militare che contava su 60.000 soldati. In seguito alla fine dell’occupazione, questi vennero ritirati e molti coreani fecero ritorno in massa verso l’isola.
Jeju non faceva eccezione al clima generale di disorganizzazione e confusione, a maggior ragione l’isola era stata sotto il diretto controllo di uomini militari stranieri. A rendere ancor di più delicata la situazione erano la carestia, l’assenza di posti di lavoro e il generale abbandono delle istituzioni politiche che non governavano più una regione lasciata a sé stessa.
Lo scenario era critico e presentava tutti i disagi e le difficoltà provocati dalla guerra.
Come se non bastasse, i collaborazionisti coreani, ovvero tutti quei funzionari politici e amministratori pubblici che avevano collaborato con i giapponesi durante l’occupazione, invece di essere allontanati, furono reinsediati dal governo militare americano. Quindi non era avvenuta una vera e propria liberazione della casta dirigente del periodo coloniale, bensì questa era stata confermata a ricoprire cariche pubbliche di fondamentale importanza per guidare il paese.
Questa manovra politica andava contro i reali interessi del popolo coreano che, seppur poco consapevole del bisogno di una totale riforma della società a partire dalla classe dirigente, non poté fare nulla per impedire questo passaggio.
Incidente del 1° marzo 1947
In occasione del 28° anniversario del 삼일절 • samiljeol (letteralmente 3.1*, ad indicare la data del primo marzo 1919 quando fu indetta la prima manifestazione di dissenso contro l’occupazione giapponese), i politici e gli attivisti della sinistra coreana organizzano un corteo commemorativo. A presenziare l’evento vi sono uomini delle forze dell’ordine che pattugliano a cavallo. Ed è proprio a causa di quest’ultimi che si accende la scintilla che divamperà in un tumulto generale: un bambino presente al corteo viene colpito mortalmente dal cavallo di un poliziotto. L’incidente è il pretesto per catalizzare la rabbia e il malcontento del popolo.
Il precario equilibrio sociale che aleggiava sull’isola di Jeju si trasforma rapidamente in una rivolta popolare, traducendosi in una sassaiola contro la polizia che non esita a sparare sulla folla. L’esito degli scontri conta 6 morti e 6 feriti.
In reazione all’incidente di Jeju, 남로당 • namrodang, il partito laburista della Corea del Sud indice uno sciopero generale a cui aderisce il 95% dei lavoratori.
Di tutta risposta il governo militare americano, anziché dar retta alle richieste del popolo e punire i responsabili delle morti civili, decisa a contrastare il vento di rivolta portata dalla sinistra politica, cattura dissidenti e oppositori politici.
Il parziale sarà di 2500 catturati sospettati di aderire al comunismo.
*in Corea la data si segna anno-mese-giorno
Prima e dopo il 3 aprile 1948: il massacro di Jeju
Era ben chiaro che le intenzioni degli Stati Uniti fossero quelle di tamponare l’avanzata comunista nella penisola coreana; infatti nel nord erano presenti le truppe sovietiche.
Oltre a contrastare l’influenza comunista militarmente, gli Stati Uniti si organizzarono anche al livello diplomatico e, con l’approvazione dell’Onu, istituirono una Commissione provvisoria atta a organizzare le elezioni generali in Corea: le elezioni avrebbero designato il governo che avrebbe controllo l’intero paese.
Le forze sovietiche nel nord non riconoscono questa decisione unilaterale, mentre le forze della sinistra coreana temono il rischio della definitiva divisione territoriale della penisola.
In questo clima di tensioni scaturito dagli scontri di Jeju, interviene il Comitato Regionale del Partito Laburista della Corea del Sud e, in protesta contro le elezioni generali indette dagli Stati Uniti, il 3 aprile 1948 350 무장대 • mujangdae, il gruppo armato di sinistra, attaccano le stazioni di polizia di Jeju.
Un altro bersaglio dei mujangdae erano i 서북청년단 • seobukchungnyeondan, il gruppo dei giovani del nord-ovest (Northwest youth league), gruppo paramilitare anti-comunista, che avranno un ruolo di rilievo negli sviluppi di queste vicende.
Chi erano i 서북청년단 • seobukchungnyeondan?Il gruppo dei giovani del nord-ovest è un’associazione di giovani nordcoreani scappati dalla Corea del nord dopo la fine della colonizzazione giapponese. La maggior parte dei rifugiati erano proprietari terrieri fuggiti dalle esecuzioni dei comunisti fatte in nome della rivoluzione sociale. Rifugiatisi in Corea del Sud, hanno ricreato comunità politiche, inevitabilmente di carattere anti-comunista, e comunità religiose di fede protestante. Queste chiese protestanti hanno tutt’oggi un peso politico importante a Seoul, dove ci sono le sedi principali. Questa associazione di estrema destra si è spesso rivelata epicentro di scontri violenti e responsabile di assassinii di volti noti del mondo della sinistra come 김구 • Kim Gu. |
La risposta del governo non tardò ad arrivare e tramite l’invio di truppe, congiunte al sostegno di forze dei giovani della destra, contrastarono violentemente le proteste dei mujangdae.
Non mancarono anche delle trattative segrete tra le due parti coinvolte, ma un incendio doloso appiccato nel villaggio di 오라리 • orari il 1° maggio fece precipitare la situazione. Gli autori dell’incendio sono i movimenti di destra, ma il governo militare americano decise non solo di insabbiare il caso, ma cambiò la narrativa e manovrò l’opinione pubblica additando la sinistra come la vera responsabile dell’incendio.
Il 10 maggio 1948 si tennero le proclamate elezioni, ma solo nella Corea del Sud da cui ne uscì vincitore 이승만 • Rhee Syngman e il 15 agosto dello stesso anno gli vennero conferiti i pieni poteri.
Il neo-governo sudcoreano giudicò la rivolta di Jeju come un chiaro attentato alla propria autorità e decise di usare il pugno di ferro contro rivoltosi e oppositori aumentando i controlli e le restrizioni con la legge marziale.
Le vicende di Jeju presero una svolta drammaticamente violenta. I mujangdae furono costretti a rifugiarsi sul monte Halla 한라산 • hallasan, mentre l’esercito coadiuvato dalle forze del gruppo dei giovani del nord-ovest presero il controllo dei villaggi circostanti.
La loro violenza fu testimoniata dai massacri dei familiari delle forze di sinistra, dei sospettati sostenitori e delle famiglie di civili fatti evacuare dai villaggi mandati successivamente al rogo.
Nel frattempo la protesta non era diventata solo politica e alle fila dei ribelli si aggiunsero anche i civili mossi da un sentimento di rivalsa e di giustizia sociale.
Solo il 31 dicembre 1948 venne revocata la legge marziale. Oltre alla revoca, era stata dichiarata la clemenza per i ribelli rimasti ancora rifugiati sul monte Halla.
Tuttavia, deposte le armi e sgomberata la montagna, non vi fu nessuna clemenza per i ribelli che vennero uccisi o fatti prigionieri e trasferiti in carceri diverse del paese.
Allo scoppio della Guerra Civile – 25 giugno 1950 – il governo, per evitare qualsiasi tipo di collaborazione tra questi prigionieri politici e la Corea del Nord comunista, uccise tutti i ribelli incarcerati durante il massacro di Jeju.
Si stima che i prigionieri uccisi furono quasi 3.000.
La resistenza iniziata il 3 aprile 1948 termina ufficialmente quando il 2 aprile 1957 viene catturato l’ultimo uomo della resistenza.
La memoria storica in tempi odierni
Solo quasi 50 anni più tardi questi eventi drammatici di Jeju ricevono la giusta riconoscenza.
Il 12 gennaio 2000, sotto il presidente 김대중 • Kim Daejung, viene approvata una legge speciale per la riabilitazione della memoria delle vittime del 4.3.
Il 28 agosto dello stesso anno, viene avviata un’inchiesta da una Commissione speciale, che definisce questa vicenda
“Un sacrificio di vittime civili. Dalla manifestazione sanguinosa del 1° marzo 1947, alla persecuzione dei ribelli da parte della polizia e del gruppo armato di giovani del nord-ovest. Dalle proteste contro le elezioni divise del 10 maggio 1948, alla lotta armata protrattasi fino al 1954, anno in cui viene revocato il divieto di entrare in montagna.”
Il numero delle denunce delle vittime è di circa 15.000 e il numero dei morti è di circa 60.000, ma si presume che ve ne siano molte di più.
Le morti tra i militari, i poliziotti e il gruppo dei giovani del nord-ovest ammontano circa a 320. Queste ultime vittime sono trattate come eroi nazionali e le loro famiglie sono state risarcite.
Il presidente 노무현 • Roh Moohyun, nell’Ottobre del 2003, per la prima volta porge le scuse ufficiali del governo, ammettendo che le vittime innocenti siano morte per mano dell’autorità dello Stato.
Nel 2008 viene aperto il Parco della Pace e nel 2014, sotto la presidente 박근혜 • Park Geunhye, viene istituito il 4.3 come giornata nazionale per la commemorazione degli eventi di Jeju.
Negli anni 2018, 2020 e 2021, l’attuale presidente in carica, 문재인 • Moon Jaein si è recato nell’isola dei Jeju nel giorno della commemorazione e sta concludendo l’iter per la riabilitazione delle vittime della resistenza di Jeju.
Fonti e bibliografia:
Mio padre
G. Breccia – “Corea, la guerra dimenticata”
M. Riotto – “Storia della Corea”
Questo articolo è stato redatto, eleborato e scritto da Giulia @ My K-Mall
Revisionato da Gwon