Secondo appuntamento su Bae Doona con A girl at my door
Il secondo appuntamento col ciclo “Bae Doona” è dedicato a “도희야 • A Girl At My Door”. Questo film non poteva mancare per due motivi importanti, ma sicuramente ne sarebbe bastato uno per aggiudicarsi un posto nella nostra selezione. Il primo motivo è per il progetto in sé. “A Girl At My Door” è sicuramente uno di quei progetti interessanti di cui parlavamo nell’introduzione al ciclo.
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Il debutto direttoriale di Jung July (con cui collabora anche in “Next Sohee”) è da applausi, anche se manca un po’ di approfondimento nella costruzione dei personaggi, soprattutto perché complicato dalla natura dei temi che affronta quali l’omosessualità, l’alcolismo, l’abuso sui minori e il lavoro irregolare di immigrati clandestini. Come recita uno dei personaggi del film: il problema è sempre l’alcol.
Non sorprende che su un progetto simile si sia interessato anche il maestro Lee Chang-dong che figura come uno dei produttori del lungometraggio. Forse anche a causa della scomodità delle tematiche affrontate, il film non ottiene grandi finanziamenti e per fronteggiare il low-budget del progetto le attrici Bae Doona e Kim Sae-ron decidono di lavorare gratuitamente. Questo è sicuramente un aspetto lodevole che rende più apprezzabile la visione del film.
Il secondo motivo è senz’altro la grandissima interpretazione che Bae Doona ci regala. La capacità di intercambiare tra la poliziotta dedita e determinata, e la donna solitaria e premurosa è disarmante. Soprattutto quando questo contrasto avviene nella stessa scena: in un primo momento sorride ed è affettuosa nei confronti di Do-hee (Kim Sae-ron), un attimo dopo si ritrova ad affrontare la molestia del padre con intransigenza e fermezza. Quest’ultime scene sono quelle che più hanno impressionato, nonostante la gracilità del suo corpo, con il solo sguardo riesce a tenere a bada tutti gli uomini del film.
Come dichiarato dall’attrice stessa, ciò che l’ha affascinata è la maniera poetica in cui la sceneggiatura è scritta e i molti riferimenti simbolici. Questi non mancano sullo schermo, a partire dalla prima scena in cui Yong-nam (Bae Doona), a bordo della sua auto, schizza involontariamente Do-hee rannicchiata sul ciglio della strada. La ragazza stringe in una mano una ranocchia mentre una coccinella le cammina sul dito dell’altra. La prima si divincola dalla stretta e si avventa sulla coccinella e Do-hee sembra rimanere sorpresa dall’accaduto. Una personale interpretazione è che nella scena si anticipa un lato scuro della bambina che è presentata con i capelli che le coprono il volto e con gli abiti sporchi.
Un altro elemento simbolico è la bottiglia d’acqua, da cui Young-nam beve tutte le sere, che in realtà contiene Soju. Chiaramente non è ammissibile una poliziotta che abusa di alcol, e l’unico modo in cui avrebbe modo di farlo sarebbe nascondere questa dipendenza come fa Young-nam, ma la bottiglia, a mio avviso, tocca un po’ le corde del “niente è come sembra” ed è presagio di un passato infausto e misterioso.
Come avrete capito il film tratta di una poliziotta che, per motivi non espressi inizialmente, è trasferita in una cittadina provinciale nel Sud della Corea. I suoi vicini di casa sono un uomo e la sua madre anziana che abusano di alcol e alzano le mani sulla povera Do-hee. Da questa situazione iniziale inizieranno a districarsi diverse trame che comporranno le note principali di questo film.
Vi auguriamo una buona visione e siamo curiosi di sapere la vostra opinione!