Hymn of Death

hymn of death

Sto scrivendo queste mie riflessioni ascoltando la splendida voce di Sohyang con la sua Only my heart knows il cui testo descrive con parole profonde l’essenza del drama: 

Can’t we be in love?
Love is so selfish
Another day of just looking at you is so hard
My heart aches

It hurts as much as I love
Because you’re someone I shouldn’t love

Questo drama, ambientato negli anni ’20 durante l’occupazione giapponese in Corea, rappresenta, a mio parere, l’espressione massima di una sceneggiatura poetica che abbraccia una fotografia nostalgica e unica nel suo genere. 

Per la prima volta, mi sono trovata catapultata in una storia ben fatta in cui tutto richiamava la tristezza di un amore sofferto e la nostalgia verso qualcuno che non si può amare liberamente. Guardando il drama mi è capitata una cosa strana, che raramente mi succede e che mai mi era capitato con un drama, il mio cuore sembrava respirare e sospirare insieme ai protagonisti la cui storia ti coinvolge e per quanto non sia capace di capire in maniera soddisfacente la lingua coreana, anche solo osservare le immagini che si susseguivano sullo schermo, mi trasmetteva emozioni uniche. 

Questa storia d’amore sbocciata per puro caso un giorno a Tokyo, è realmente ispirata alla storia del drammaturgo Kim-Woo- jin e della soprano Yun Sim-deok ed è qui narrata non solo attraverso una sceneggiatura essenziale e impeccabile, ma anche attraverso un uso consapevole e oserei dire intimo della scenografia e della fotografia. Quest’ultima mi ha colpito particolarmente e riflettendoci a fine drama, ho notato una certa climax nell’uso dei colori.

Nelle scene iniziali, soprattutto in quelle incentrate sui due protagonisti, sono presenti anche colori chiari come il giallo e il bianco; ma con il passare degli episodi (3 episodi da 1h circa su Netflix) i colori prevalenti sono scuri, il grigio, il marrone, il nero e il grigio. La scena finale è un trionfo all’uso del colore come espressione di un sentimento.

Questo uso sapiente dei colori si amalgama in maniera perfetta con gli stati d’animo e con ogni parola pronunciata dai protagonisti, la cui scelta non poteva ricadere su attori migliori. 

Lee Jong Suk, con la sua eleganza con la sua padronanza della mimica facciale, ci ha regalato uno studente di letteratura inglese unico e brillante in tutte le scene, da quelle più romantiche a quelle incentrate sulla violenza, non solo legata all’occupazione. 

Parlando di eleganza, non posso non essere contenta della scelta ricaduta su Shin Hye-sun che, avendola apprezzata in altri ruoli anche diversi, entra perfettamente nel personaggio della studentessa di canto lirico Sim-deok. 

I due attori hanno mostrato nelle varie scene una chimica che emergeva dallo schermo e che ha reso giustizia a un drama delicato e potente allo stesso tempo in cui la delicatezza della storia d’amore si nutre di sguardi, di sorrisi fugaci e momenti che durano materialmente un attimo, ma che in realtà sono eterni. Sì, scene che nella realtà effettuale del drama duravano pochi attimi, ma che i due attori sono stati capaci di rendere quasi eterni e vividi nella mente dello spettatore.

Una storia che è un vero grido alla lotta per la propria libertà, in un momento storico in cui la libertà era negata ed era facile diventare oggetto di pregiudizi da parte della gente, così come avviene per Sim-deok, una donna in una società maschilista che deve lottare per la sua posizione nel mondo e per il suo amore impossibile. 

Questa doppia lotta di Sim-deok viene vissuta anche dal suo amato che la porta con sé come se potesse percepirne il peso. L’amore come condivisione di sentimenti, di arte e di passione. A volte ho avuto l’impressione che i due si capissero anche senza pronunciare una parola. 

Ho cominciato questo drama attratta dalla locandina e dalla trama, non me ne sono pentita perché ad oggi esso rientra nella lista di quei drama che considero perle del genere. 

Per qualcuno questo drama non sarà perfetto, ma forse questa imperfezione lo rende ancora più vero perché personalmente anche io avrei voluto uno spaccato che riguardasse le rispettive famiglie e gli amici dei due dopo la scelta presa, ma sono consapevole che, essendo una storia realmente accaduta, la scelta di Park soo-jin di non andare oltre quello che si sa di questa storia terribilmente romantica e triste, sia stata perfetta. 

Un inno all’amore e alla libertà, un inno all’amore verso colei/colui che riempie la nostra vita di sorrisi e lacrime gentili, questo e molto altro rappresenta per me “The Hymn of Death”.  Secondo alcuni i due hanno perso questa lotta, invece secondo me l’hanno vinta perché sono diventati eterni padroni della loro vita e del loro amore che ha vinto le barriere di una società che li stava privando della vera felicità. Non è la morte la sconfitta, ma la vita rinchiusi in una gabbia.

Non so se sono stata capace di parlare in maniera appropriata di questo drama, quindi credo sia meglio lasciarvi con le parole dello stesso Kim Woo- Jin: “Passionately, I listened to the curses put on my fate. She was the only safe haven in my life besieged by the devil.”

Curiosità: La storia di Sim-deok e di Woo-jin è stata raccontata anche in un film del 1991 “Death song” del regista Kim Ho-sun.

Hymn of death è stato scritto da Francesca, per la quale si ringrazia per il suo prezioso contributo!
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Giulia S
Giulia. Cresciuta a pane e k-drama ha creato questo spazio per parlare del suo paese d'origine, la Corea del Sud, a 360° facendo perno sulla sua interculturalità e vuole sviluppare un ponte bi-direzionale tra la Corea e l'Italia. Racconta la Corea attraverso i kdrama con #dramiamo, propone uno sfizioso aperitivo coreano con #eatdrinkorea e fa lunghi approfondimenti sulle notizie dalla Corea per #rassegnadallacorea, il tutto a suon di Kpop con #radio360. Ogni tanto esce dal paese per osservare le altre culture con #oltrelacorea.

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