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«Per molto tempo ho cercato con fervida immaginazione di ricreare nella mia mente il secondo interrogatorio di Han Manu come se volessi incastrare dei mattoncini Lego. Il giovane era stato interrogato ben sette volte ma era questo interrogatorio quello in cui ci si era avvicinati più alla verità e alla direzione che infine avrebbe preso il caso. Ogni volta che immaginavo quell’interrogatorio, stranamente, era sempre presente un carico eccessivo di dettagli ed era come se quei piccoli e incurvati mattoncini Lego stessero cercando in tutti i modi una soluzione per incastrarsi bene.
Anche questa volta è accaduta la stessa cosa. Ho scritto che l’investigatore avrebbe osservato le mani del ragazzo, pensando che non sarebbe stato necessario un colpo forte per colpire una ragazza dalla testa piccola e dai capelli morbidi e lucenti. Il dettaglio relativo ai capelli morbidi e lucenti non sarebbe stato necessario aggiungerlo ma, senza un perché, lo avevo fatto. Una testa piccola dai capelli mossi, morbidi e lucenti non avrebbe certamente modificato il fatto che era stata colpita al capo con un mattone. Anche se sono passati sedici anni sono ancora legata a quei dettagli chiari, nitidi e superflui. Non riesco a sottrarmi al ricordo perenne della bellezza di mia sorella.
Proprio così. Mia sorella era di una bellezza sconvolgente. Nessuno poteva dimenticarla, anche se l’aveva vista una sola volta. La stessa estasi che si prova davanti a un foglio bianco senza scritte. Aveva diciotto anni. Chi ha strappato quel bellissimo foglio? È stato Han Manu oppure Shin Jeong-jun? E se invece fosse stata una terza persona, un perfetto sconosciuto? Adesso lo so: non chi si sia macchiato del suo omicidio, ma chi di certo non lo ha commesso. No, non è vero. So benissimo chi è stato, e il movente e il peso di questo crimine mi perseguiteranno per sempre, fino alla morte.»
Kim Hae-on muore il giorno dopo la finale dei mondiali di calcio in Corea del Sud. Il suo corpo, vestito solo di un abito giallo, viene ritrovato nel parco del suo liceo; il cranio spaccato da una pietra. La polizia individua subito due sospetti tra i compagni di scuola: il rampollo Shin Jeong-jun, sulla cui macchina la ragazza è stata vista salire la sera del delitto, e Han Manu, che afferma di averla incrociata di ritorno da una consegna in motorino. Ma i due hanno un alibi e così il caso si chiude senza un colpevole. C’è però qualcuno che non si arrende. Qualcuno convinto che la soluzione si nasconda proprio nei segreti degli studenti. Qualcuno talmente sconvolto dalla morte della ragazza da modellare il volto e il fisico fino ad assomigliarle. Il suo nome è Da-on, Hae-on era sua sorella, e la sua ricerca non avrà termine fino a quando non avrà scoperto la verità; in qualunque modo e a qualunque prezzo. Con Lemon Kwon Yeo-sun dà voce a un’indagine angosciante sulla gelosia e la colpa, che respira le atmosfere di Parasite. Un’opera che attraverso diversi punti di vista disegna il ritratto di un paese diviso, rivelando quanta brutalità e abisso alberghino nei silenzi di ogni vita.
«L’effetto ipnotico di Lemon accompagnerà il lettore molto dopo la fine dell’ultima pagina. Una storia intensa e luminosa.» The New York Times
«Un’agghiacciante riflessione sulle conseguenze del dolore.» Kirkus
«Se tutto quello che era successo in quell’estate non avesse ancora trovato una conclusione? Allora, non l’avrebbe trovata mai. Era impossibile arrestare qualcosa di così orribile e terrificante.»
Traduzione di Benedetta Merlini
Kwon Yeo-sun
Kwon Yeo-sun (Andong, 1965) è una delle più apprezzate scrittrici sudcoreane. Ha vinto numerosi premi, tra cui lo Yi Sang Literary Award e l’Oh Yeong-su Literature Award.
La determinazione disperata di chi vuole e deve farsi giustizia: “Lemon”, di Kwon Yeo-Sun
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